Tommi Space

Nella storia e nella mitologia e etimologia

Consegna STEP #02:

Tracciare una “storia” del termine che si sta analizzando cercando di studiarne le origini: per fare ciò potrà essere utile rintracciare le sue origini nella lingua latina. Per esempio “progetto” nasce dal latino pro-iectare (e ancora pro-icere) che vuol dire gettare in avanti…. Con un po’ di fantasia si può scrivere una storia. Si ricorda che i termini assegnati hanno il loro punto di partenza dal linguaggio e dai concetti dell’ingegneria (in senso lato) e che compito di questo corso è di “lanciare un ponte” verso la filosofia, nella sua funzione ermeneutica.

Come ha affermato Jonathan Gottschall nel suo libro The Storytelling Animal (L’istinto di narrare, Torino : Bollati Boringhieri, 2018) ci distinguiamo dalla altre specie animali proprio per la nostra (fantastica) capacità narrativa, e non solo per la tecnica. Tutto ciò ci ha permesso (sinora) di non estinguarci.

Consegna STEP #04:

Cercare una presenza termine assegnato, tema del blog personale, all’interno della Mitologia. Pur consapevole che alcuni termini (tipici della tecnologia, perché ricordiamolo qui si tratta di filosofia dell’ingegneria) siano di difficile collocazione all’interno della “mitologia classica” (greca, latina, o anche orientale, ecc.) si sottolinea il fatto che il mito si ripropone anche in forme più attuali. Sono figure mitiche Superman, Spiderman ecc. Buona ricerca.


Nel mondo omerico, gli eroi erano detti ἄριστοι (àristoi), infatti con la loro ἀρετή/valore combattevano alla ricerca della gloria, κλέος (kléos), che li avrebbe resi immortali, anche al prezzo di una vita breve. Se la loro ἀρετή fosse giunto ad essere ὕβρις (ybris), cioè tracotanza, e avesse suscitato la φθόνος των θεών (ftonos ton theon), cioè l’invidia degli dei, avrebbe portato gli eroi alla tragica definitiva conclusione della loro esperienza di vita, vittime della vendetta divina.

Gli eroi, i pochi valorosi, sono coloro che combattono a fianco e contro i molti vili. La figura dell’eroe è dunque strettamente connessa al valore, a partire dal mondo omerico, i cui personaggi eroici sono di ispirazione per l’intera tragedia greca. Un esempio magistrale ne è di Agamennone.

Da dove vengono allora i due termini italiani vile e valoroso?

  • Vile deriva dall’aggettivo latino della II classe vilis-vile che significa senza valore, che si vende ovunque, che dappertutto si compra…
  • Valoroso deriva invece dalla stessa radice latina val-, cui appartiene anche il verbo valeo: sono in forze, ho vigore, ho forza e efficacia…;

La radice è la stessa della parola valetudo: salute, buona salute o vox media: stato di salute.

Il saluto, nel momento del distacco alla fine di un incontro, alla fine di una lettera, alla fine di una vita, per i romani era: vale! scritto spesso sulle epigrafi mortuarie.

In latino, il termine greco àrete corrisponde a virtus: virtù, forza morale, valore militare, capacità, eccellenza, merito, coraggio, energia. Il valore in guerra, virtus (che deriva da vir: eroe, uomo, marito) nella cultura e nel pensiero cristiano assunse prevalentemente il significato di qualità morale, bontà, altruismo, perseveranza, rispetto, obbedienza, disciplina… quindi, almeno apparentemente (con aperta deplorazione di Nietzsche) venne a significare quasi l’opposto di quel valore guerresco, sprezzo del pericolo e ardimento contro il nemico in guerra, che sono qualità, dopo tante guerre, soprattutto le ultime due mondiali, sempre meno considerate esemplari e sempre meno influenti sul pensiero e sulla cultura, lontani millenni, dalla realtà epica cui ho alluso all’inizio.

Tuttavia, va notato che in Dante ritroviamo i termini corrispondenti a valore: virtù/virtute/vertù nella molteplicità dei significati più disparati, da quello teologico (virtù cardinali e teologali) a quello di superiorità degli uomini sopra tutti gli altri esseri, come leggiamo nel XXVI canto dell’Inferno. Ma Dante, riferisce a virtù anche il senso di volontà, vista, potere spirituale, come leggiamo nei canti del paradiso, o facoltà del conoscere il vero stato delle cose che dà all’intelletto materia per ragionare e giudicare, come si legge al verso 49 del XXIX del Purgatorio; o addirittura facoltà dei demòni di scatenare la tempesta nell’aria, come nel V della medesima cantica. Dalla molteplicità e varietà di significati della parola valore/virtù in Dante deriva la molteplicità e varietà del termine nella lingua italiana moderna: la società riconosce che determinati principi e ideologie sono necessari alla propria sopravvivenza e questi essa chiama valori. Da qui anche la “crisi dei valori” e la critica del “culto dei valori consunti” (successo/potere) da parte dei giovani contestatori del decennio 1968-1978. Ma si parla anche di “valore” dell’arte e della cultura, al punto che noi italiani parliamo del nostro patrimonio artistico e culturale di cui siamo fieri e consapevoli che sia un valore non quantificabile. D’altra parte, la capacità di scambio che si istituisce fra le merci, espresso in denaro, per determinarne il prezzo, si dice “valore”.

A questa teoria si contrappone quella Marxista, che considera elemento produttore del “valore” solo il lavoro. In matematica, come ben sappiamo, valore equivale a grandezza-proprietà, attribuita a un segno o a un simbolo, mentre nella logica si parla di valore facendolo corrispondere a verità (vero/falso). In musica, corrisponde alla durata di una nota o di un intervallo; in semantica corrisponde al significato; in borsa, i valori sono azioni, obbligazioni, titoli… e infine si chiamano valori in generale gli oggetti preziosi.


Ora, possiamo tornare al padre Dante, che contrapponeva valore/virtù a li vizi umani, di cui Ulisse ebbe l’ardore di diventare esperto. A noi l’arduo compito di distinguere, ora più che mai, vizi da valori.

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